L'uomo
non vive di solo pane, come si sa, ma anche di idee. Dal
punto di vista della filogenesi viene prima il ventre rispetto al
cervello, ma, a sviluppo compiuto, chiedersi quale dei due sia più
importante non ha alcun significato. In una torre è più importante
la base o la sommità? Senza la prima la seconda non si regge, senza
la seconda non c'è più la torre. Così, l'uomo porta con sé
entrambe le sue parti essenziali in tutto ciò che fa, compresa,
purtroppo, la guerra: a torto o a ragione, egli combatte sia per il “pane”, ovvero i beni materiali, che per le idee, e
se fra le varie idee disseminate nel collettivo in armi una posizione
dominante, o almeno rilevante, è occupata da una fede religiosa, la commistione di religione e guerra è cosa fatta. Richiami alla pace e
correnti oggi definibili come nonviolente esistono in tutte le
maggiori religioni, ma in nessuna sono tanto forti da creare
un'incompatibilità tra fede e guerra. L'atteggiamento delle autorità
religiose, figure non sempre distinte dai politici, non è mai stato
univoco, nemmeno in seno alle singole confessioni; quanto ai popoli,
ai capi politici in genere ed ai militari, prima del secolo scorso a
professarsi credente in una certa fede religiosa era la totalità,
sono a tutt'oggi la maggioranza, e le guerre non sono mai mancate.
Sono le costituzioni e gli accordi internazionali di ispirazione
laica ad affermare il ripudio della guerra «come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali» (articolo 11 della
Costituzione italiana).
La
differenza religiosa è stata tra le cause di molti conflitti. In
senso stretto, le guerre di religione furono quelle che videro
contrapporsi cattolici e protestanti dalla metà del XVI secolo alla
metà del successivo, ma l'espressione, per quanto riduttiva, può
valere allo stesso modo per un gran numero di fatti bellici, tra cui
quelli che coinvolsero i musulmani. Per un verso, il nostro tempo sembra a corto di fantasia, visto che siamo ancora alle prese con una
guerra che vede una delle due parti combattere al grido di Allāhu
Akbar,
ma vi sono anche
macroscopiche differenze: uno dei fronti è come
diluito in quasi tutto il pianeta, anche in conseguenza della
massiccia emigrazione verso l'Occidente iniziata dopo la fine del
colonialismo; vi è un impiego inaudito del terrorismo suicida, ed il reclutamento può avvenire anche online.
Queste anomalie mettono l'altra parte in grande difficoltà, ma a
rendere incerto l'esito favorevole che dovrebbe esserle garantito dalla sproporzione tra le due forze, una setta islamica ed il resto del mondo, è la disunione interna, la babelica eterogeneità ideologica e le polemiche tra fazioni, perciò la diffusione di valori universalmente condivisibili le è più che mai necessaria. A tale scopo, non serve porre l'enfasi su questo o quel credo e sui suoi rappresentanti, serve la forza
mediatrice ed unificante della laicità.