domenica 12 marzo 2017

Quel che manca alla storia

  Il passaggio atavico dalle società piccole e indipendenti ai grandi insiemi, nazioni, Stati ed unioni, ha contemplato la progressiva separazione dei poteri all'inizio concentrati in un singolo soggetto. Aspetto tipico delle società contemporanee avanzate è che, nel tempo in cui esercita il potere politico, il cittadino abbandoni o sospenda ogni altra funzione o attività socialmente rilevante svolta in precedenza. Tuttavia, se in esse si può dire garantita l'incompatibilità tra cariche politiche da un lato e dall'altro quelle militari e giudiziarie, il rapporto tra politica e potere economico è tuttora ampiamente vizioso. Quando sono le dinamiche dell'economia e della finanza a condizionare l'attività politica più di quanto non sia per l'opposto, la conseguenza è lo squilibrio sociale: un'esigua minoranza di magnati detiene una ricchezza superiore a quella proporzionale al merito, ottenendo il beneplacito delle istituzioni attraverso metodi più o meno mascherati di corruttela, o entrandovi senza disfarsi del proprio business, se non in modo affatto formale. La maggior parte della popolazione ne subisce giocoforza un ingiusto svantaggio. Che rispetto a tale invadenza la magistratura e la stampa possano dimostrare maggior decoro dei governanti non è mai una compensazione sufficiente, poiché non spetta a loro modificare le leggi.
  La politica si fa odiare quando ciò che manca alla storia perché se ne possa parlare come di un progresso è la piena e definitiva emancipazione della politica stessa da ogni altro potere. La pura politica, infatti, è rappresentanza non di parti o classi, maggioritarie o minoritarie che siano, ma dell'intera popolazione, dal piccolo comune fino al mondo intero.
 Più a monte, quel che scarseggia miseramente è un concetto: la felicità personale non dipende dal denaro, ma dalla riconoscenza.

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