mercoledì 31 maggio 2017

Radici e frutti

   
«Noi non possiamo non riconoscerci e non dirci cristiani», scriveva Benedetto Croce, mentre infuriava la seconda guerra mondiale. Egli non sentì la necessità di identificare quel “noi”, se non in una sua lettera, subito successiva al famoso articolo, in cui si dice «profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna» siano «cristiani» (in Dialogo su Dio. Carteggio 1941-1952, Archinto 2007). Il suo illustre contemporaneo Bertrand Russell era dichiaratamente non cristiano, e non era questi il solo a smentire quanto affermato da Croce; tuttavia, in una nota al saggio, l’Italiano scrive:

Quel che i vagheggiatori del neopaganesimo non consideravano, può essere espresso con le parole che Jacopo Burckhardt pone sulle labbra dell'Hermes del Vaticano, immaginando che mediti così: «Noi avemmo tutto: fulgore di dei celesti, bellezza, eterna gioventù, indistruttibile lietezza; ma noi non eravamo felici, perché, noi non eravamo buoni». Che è quanto dire: «non eravamo cristiani».

In modo elementare, per Croce “cristiano” significa dunque “buono”. Ciò è poco convincente. Probabilmente né Russell, né altri non cristiani sono stati “cattivi”, mentre di certo lo sono stati molti sedicenti cristiani; per di più, c’è da ricordare che secondo Cristo nessuno è buono, se non Dio solo. Chi, infatti, può dire di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo suo come se stesso, anche quando si tratta di un nemico? Qualche santo, qualche cenobita, non certo il “noi” crociano. Dirsi cristiani è sempre cosa ardua, se non si voglia annacquare la parte più densa del Vangelo, quella che, in fatto di bontà, dovrebbe portare a contendere il primato con i monaci tibetani.
  Nessuno, a suo tempo, pensò di rispondere a Croce con un testo che avrebbe potuto intitolarsi Perché non possiamo non dirci razionali, le cui motivazioni sarebbero state altrettanto o più convincenti. Le radici greche dell’Europa avrebbero prevalso su quelle giudaiche. Dalla scolastica medievale fino alle scienze contemporanee, logica e razionalità non sono mai venute meno, alternandosi a tendenze di segno opposto. Altrettanto corretto sarebbe stato un titolo come Perché non possiamo non dirci diabolici: stavolta, però, l’attenzione si sarebbe concentrata sui massacri e sulle schiavitù prodotte dagli Europei, sia in politica interna sia estera, sull’opulenza dell’Occidente, sugli scritti di Sade e di Nietzsche.
  La civiltà europea, ivi comprese le sue diramazioni, è una realtà composita, che mal sopporta le riduzioni. Tra queste, la più deleteria è forse quella che oggi, per reazione al sanguinoso attacco portato anche nel cuore del continente europeo dall’estremismo islamico, fa di nuovo parlare di radici cristiane: significa cedere ad una provocazione, regredire a un livello di scontro che dovrebbe essere relegato ai libri di storia. La miglior risposta a tale violenza sarebbe, in primo luogo, ribadire la separazione tra politica e religione, insistere sulla laicità statale; affermato questo punto, indirizzare l’azione politica verso la massima distribuzione democratica del potere e della conoscenza, accentuando e diffondendo massimamente la coscienza ecologica e demografica. L’Occidente, anziché disputare sulle radici, dovrebbe cioè far maturare i frutti, cogliere i migliori e scartare quelli bacati. 







   

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