venerdì 27 ottobre 2017

Il pasto della ragione

   «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te». Massima antica, mondiale, ripetuta in infinite occasioni. Tuttavia, se un ragazzino esigente ci chiedesse “perché”, noi, persone morali, gli dovremmo una risposta, e se non fosse soddisfatto, non trovandola poi altrove, né da sé, crescendo potrebbe diventare un criminale, ladro e assassino incallito. Da quel momento in poi, tra le cose che costui non vorrebbe gli si facessero c’è, ovviamente, l’essere arrestato, e se, un bel giorno, decidesse di applicare la regola, dovrebbe rinunciare non solo al crimine, ma anche a ostacolare chi lo compie. Bell’assurdità. La ragione non si pasce di massime, e neppure di sentimenti, ma di concetti, e farle patire la fame ci svaluta come esseri umani.
  Torniamo dunque indietro, e rispondiamo al ragazzino. «Ascolta, Eros (mettiamo sia il suo nome), prova a immaginare che nessuno mai seguisse questa regola, che ognuno di noi si comportasse con l’altro come nessuno vorrebbe si comportasse con lui: sarebbe la guerra perenne di tutti contro tutti, nessuno sarebbe amico di nessuno, tutti nemici di tutti. Sarebbe impossibile qualunque tipo di società, qualsiasi cultura; la stessa specie umana rischierebbe di estinguersi, perché un bambino potrebbe nascere solo dallo stupro. Sai che cos’è lo stupro, vero? Ti sembra bello tutto questo?».
   Eros riflette un poco, poi se ne esce con questa replica: «Ma allora, se io vedo che qualcuno segue la regola, io posso anche non seguirla. L’importante è che ci sia qualcuno che la segue, no?». L’obiezione ha evidentemente una sua logica, quindi non solo la massima, nemmeno la nostra spiegazione è sufficiente. La ragione, quella dell’adolescente e la ragione in quanto tale, non è ancora sazia. Dobbiamo andare avanti, senza adirarci, ma con fermezza.
   «Ah, dunque vuoi essere un parassita? Uno che approfitta dell’impegno altrui per conservare o, dov’è possibile, migliorare il livello della nostra vita, senza contribuire in alcun modo, anzi ostacolando, impedendo? Sei libero di farlo, ma non è questo il tuo vero interesse, non è l’interesse di alcun individuo, anche se, organizzandoti in un certo modo, potresti far soldi. Più felice di tutti è chi è amato da tutti, e tu sarai, al contrario, uno degli esseri più odiati. Nemmeno i tuoi soci, se ne avrai, ti ameranno, nessuno di quella risma può amare, ma solo aggregarsi per opportunità ai suoi pari e rispettare il più forte per timore. Vuoi diventare celebre come criminale? Sarai odiato anche da morto. Il tuo valore come persona, e ognuno di noi ne ha uno, sarà sotto lo zero, e non cambia, che tu riesca o meno ad evitare il carcere o quale altra pena preveda lo Stato. Comunque, ormai sei grande, se tu deciderai di imboccare quella strada io me ne accorgerò subito: te lo dico, non aspettarti da me il minimo appoggio, io ti ho parlato e ti parlerò così sempre, per te non potrò far altro che questo, non sarò mai complice di una sanguisuga, con tutto il rispetto per gli incolpevoli Irudinei».
  A questo punto, a Eros non resterebbe che dichiararsi privo di qualunque amore per la specie umana, e favorevole alla sua estinzione. Il giovinetto non arriva a tanto, ma potrebbe darsi che lo faccia un altro - chiamiamolo Ade -, perciò noi, sempre con calma e senza dire «tu sei pazzo» o simili, proseguiamo.
   «Ade, ogni individuo umano, come ogni animale, ha una volontà, e la volontà dell’individuo collettivo che chiamiamo specie è l’insieme di tutte le volontà individuali. Queste possono armonizzarsi nella ricerca del bene comune, o contrastare, come accade quando il singolo o un gruppo amano se stessi e odiano tutti gli altri. Ovviamente, l’individuo e il gruppo, per quanto forti possano essere, sono in una situazione di inferiorità rispetto all’insieme, quindi, se vogliono il male degli altri possono attuarlo solo fino a un certo punto, oltre cui saranno loro ad essere schiacciati. Perché l’odio globale abbia esito, esso dovrebbe prevalere nell’intera specie, dovrebbe cioè valere per la maggioranza quello che vale per il suicida singolo, o per un gruppo come quello del pastore Jim Jones, novecento persone che si avvelenarono nello stesso giorno. Se dunque tu volessi insistere nella sua linea, senza finire tu solo nell’oblio o nella maledizione, dovrai cercare proseliti, insegnare l’odio di sé e dei propri simili, in modo che l’umanità si avvii al suicidio collettivo. Di fronte alla realtà, che vede gli esseri umani decisamente vogliosi di vivere e di unirsi, almeno per la stragrande maggioranza, probabilmente rinuncerai all’impresa prima ancora di cominciarla. Dovresti asserire in pubblico che l’uomo sia per natura un essere immondo e odioso, e gli effetti di un simile discorso sono facilmente immaginabili. Potresti anche avere l’accortezza di procedere gradualmente, cominciando dalla descrizione delle tante, oggettive malefatte degli umani, ma nel momento in cui l’uditorio, disposto all’ascolto delle possibili soluzioni, sentisse parlare di autoannientamento della specie, verresti travolto dal biasimo e da insulti, saresti perciò costretto al silenzio, se non alla fuga. Essere pronti a riconoscere le proprie mancanze, e più in genere essere consapevoli, è un'ottima qualità, ma ne abbiamo anche altre, per esempio possiamo avere coscienza del mondo, essere incantati dalla natura, creare opere d’arte, cantare, scrivere poesie, salvare cani abbandonati, lottare fino al sacrificio per proteggere la vita minacciata».
  Eros e Ade non erano paghi della massima, né del buon sentimento: legittimamente, perché il raziocinio è una dote. Se ora, però, i due scegliessero di seguire comunque la strada del crimine, sarebbe per sordità verso un ragionamento più avanzato del loro.
 



mercoledì 11 ottobre 2017

La chiave della pace

   Possono essere tra loro nemici due ricchi, due poveri, due colleghi, due connazionali, due parenti stretti, ma non due persone con la stessa visione del mondo. I modi di pensare sono numerosi, ma se, quanto alle cose essenziali, non ve ne fosse che uno, l’inimicizia sparirebbe dal pianeta. Sarebbe dunque un immenso bene per tutti, sempre che la concezione comune fosse quella più ricca di verità. Tuttavia, se c’è un’opinione generale, è che il passaggio dalla discordanza all’omogeneità del pensiero sia qualcosa di orribile, buono solo per il genere distopico di narrativa e cinema, dal Brave New World di Huxley ai romanzi cyberpunk. Nel linguaggio attuale, il “pensiero unico” è del tutto privo di profondità: è la conferma del materialismo di Marx senza i suoi vaticini, ribaltati dalla vittoria del profitto privato e delle sperequazioni. Si tratta quindi del risultato di una “omologazione” culturale gestita dall’alto, cioè dagli stessi capitalisti trionfanti, tramite una politica e un giornalismo a loro asserviti. È indubbio che tale pensiero, se così si può chiamare, abbia una notevole consistenza, ma esso è “unico” solo nei desideri dei pochi a trarne un vantaggio, anche se dovessimo considerare solo la parte del mondo che lo ha partorito: è anzi qui che, dopo molte lotte e sacrifici, il pensiero può liberamente diversificarsi, è qui che non si possono zittire le voci dissenzienti, né sbarrare i canali di comunicazione. Ciò anche quando il dissenso non ha di meglio da proporre che il rilancio delle tradizioni religiose nazionali, o l’abolizione totale della proprietà privata.
   Se dove regna la miseria intellettuale trovassimo la ragione filosofica e, anziché l’uniformità coatta, la convergenza evolutiva, l’unità planetaria del pensiero, comportando l’impossibilità stessa dell’odio e del conflitto, ci si mostrerebbe come l’opposto di una fosca prospettiva. La varietà delle caratteristiche individuali e culturali sarebbe diminuita solo per l’abbandono di quelle assurde, come l’uso cinese del corno di rinoceronte. Soprattutto, essendo un pensiero saggio, si aprirebbero gli occhi di tutti sulla natura, la cui molteplicità, questa sì, va strenuamente difesa dalle minacce di un’espansione umana dissennata. 

lunedì 2 ottobre 2017

Valore dell'idea

   Mediamente, le popolazioni del mondo odierno sono più eterogenee che in passato quanto a idee generali. Prima grande e rudimentale distinzione è quella tra chi è religioso e chi non lo è, poi ambedue le categorie si suddividono, la prima in diversi tipi e gradi di religiosità, l’altra secondo varie anime del libero pensiero. In molti campi, i giudizi degli uni divergono spesso da quelli degli altri, ma entro uno Stato non può valere che un solo corpus di leggi: è dunque inevitabile che solo una parte sia soddisfatta, quella che trova la propria visione delle cose sufficientemente rispecchiata nella legge che si stabilisce. Tuttavia, le condizioni delle altre parti non sono certo indifferenti rispetto all’una o all’altra ideologia predominante. Se la legge s’ispira a una dottrina religiosa, chi non ha quel credo può trovarsi impedito nelle scelte personali: ad esempio, potrebbe voler ricorrere all’eutanasia, all’aborto farmacologico, divorziare dal coniuge, ma non può. Se, all’estremo opposto, l’ideologia porta ad osteggiare la religione e a non ammettere alcun’obiezione di coscienza, la violazione dei diritti colpisce chi è religioso. Dove la legge né si ispira alla religione né la proibisce, il credente non è obbligato a commettere alcun’azione che ritenga peccato, ognuno può decidere di se stesso, a tutti è vietato solo procurare danno ad altri. Se le costituzioni contengono riferimenti alla laicità ovvero alla libertà di pensiero e di credo, qualunque maggioranza manifestata dai suffragi è tenuta a rispettare tale indirizzo, coerentemente con lo scopo di perseguire l’interesse onnicomprensivo, che è quello di ogni giusto atto politico. Un sistema di pensiero manifesta il suo valore soprattutto in base a tali effetti.